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È un'antologia, ma anche un commento e un saggio critico, volti a illustrare l'opera in versi di Maria Insalata Siciliano, iniziata nel lontano 1972 ed estesa fino ai primi anni Duemila. Poco conosciuta oltre i confini della Puglia, la poetessa ha sorpreso i nuovi lettori a livello nazionale per l'intensità della passione, filtrata con vigile razionalità da una inesausta ricerca stilistica. Il pathos si coagula a partire dalla morte prematura del figlio Sergio, appunto nel '72, evento che fa emergere in Maria Insalata istanze poetiche rimaste fino ad allora allo stato potenziale. Il segno del trauma corre poi come un filo rosso attraverso tutta l'opera, quando più quando meno apparente: ora è esplicitato come dolore materno entro un ambito di riflessione e resistenza tutto soggettivo, ora proiettato nella natura e nell'universo, fino a esperire la trascendenza. I modi della scrittura variano conseguentemente, e già nelle prime due raccolte, vicine all'evento luttuoso, appaiono governati con piena lucidità. Nel percorso successivo la poetessa sperimenta nuovi tipi di lessico e ritmo: emergono così altre suggestioni e allusioni, non solo Ungaretti e l'amato Leopardi, cui si richiamano vari testi e il titolo di una raccolta, ma anche sorprendentemente Campana e la Dickinson. L'affinità con questa poetessa è riscontrabile nella condensazione e scarnificazione del linguaggio poetico, alla ricerca del potere della singola parola. Questa tendenza convive nella produzione di Maria Insalata con la mai abbandonata fascinazione dello stile ermetico, specie nelle poesie che potremmo definire 'orfiche'. Infatti, se la scelta antologica ha privilegiato testi brevi e chiari o comunque traducibili a livello di senso, il contributo del professor Casadei, su una delle poesie più complesse, "Chiaro di luna", unitamente alla postfazione, valgono a integrare e meglio definire i caratteri dell'intera opera.