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Prendendo spunto dal pensiero di uno dei principali antropologi del XX secolo, il testo discute criticamente i fondamenti teorici e il ruolo sociale dell'antropologia e delle scienze sociali. Analizza l'importanza del lavoro Clifford Geertz nel superamento delle ortodossie che hanno dato forma alla concezione moderna della scienza: la fede nella verità e nel metodo univoco e fisso, il mito dell'oggettività e della neutralità dello scienziato, l'ideale della conoscenza come rappresentazione e della rigida separazione fra teoria e dati. Articolando strumenti concettuali appartenenti a diverse correnti di pensiero (dall'ermeneutica alla fenomenologia, dalla sociologia comprendente alla filosofia del linguaggio, dalla critica letteraria alla filosofia della scienza post-empirista) il saggio affronta i profondi cambiamenti nelle condizioni del lavoro antropologico, riflettendo sulla natura dell'esperienza etnografica e sulla sua restituzione testuale. Problematizza la situazione dello studio sul campo analizzando i microprocessi della vita quotidiana e la traduzione attraverso confini culturali. Da queste prospettive geertziane, il volume invita a riflettere sulla produzione delle forme culturali nell'intreccio fra sistemi simbolici e sistemi di potere. Definisce il ruolo dell'antropologo nel mostrare le differenze sempre sottili che costituiscono le realtà sociali in termini complessi, sottraendole a vuoti universalismi, preoccupanti naturalizzazioni o pericolosi «scontri fra civiltà».