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La triste vicenda di Marco Pantani, lo sfortunato campione di ciclismo scomparso nel 2004, a trentaquattro anni, offre innumerevoli spunti di riflessione sull'Italia che ha fatto da cornice alla sua breve avventura, prima trionfale poi maledetta. Quello che emerge è infatti un paese che pare avere smarrito i più elementari sentimenti morali: la solidarietà verso chi viene ingiustamente accusato, la pietà nei confronti di chi soffre, il rispetto per la sacralità della morte. È stato contro un'intera società imbarbarita, cinica e superficiale che Pantani, semplice ragazzo di Romagna dai principi genuini ed antichi quanto lo sport da lui amato, è andato involontariamente a scontrarsi, finendo con il rimanerne stritolato. Le pagine da lui scritte in bicicletta, la dignità con cui ha affrontato il suo martirio, la malinconia della sua fine ne fanno tuttavia un personaggio immortale, destinato a perpetuarsi come un mito nell'immaginario di quelle folle innamorate per l'eternità del loro leggendario Pirata con la bandana.