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Mounir si sente un elettrone vagante, un extraterrestre, un selvaggio. Vorrebbe sfuggire alle continue lamentele dei suoi vicini e accontentare i suoi genitori, stacanovisti con un banco di ortofrutta al mercato, che ambiscono per lui a un futuro "al massimo". Vorrebbe, a volte, farsi piccolo come un lillipuziano, altre, invece, essere legato al dorso di un fuoco d'artificio. Vorrebbe diventare una star, abbagliare la notte durante il sonno. Nel frattempo, però, non può che accontentarsi di spazzare capelli pieni di forfora nel salone di un barbiere e vivere il suo "mal di silenzio". Perché Mounir ha bisogno di parole per non scomparire, contare fino a dieci prima di parlare non fa per lui, la sua lingua non sopporta i numeri. Ogni settimana sale sul treno che collega la banlieu parigina in cui vive al centro della città. Destinazione: lo studio di uno psicanalista. Il tragitto diventa il pretesto per ricordare gli episodi che hanno segnato la sua vita. Una circoncisione senza anestesia, il suo personaggio di seduttore virtuale, la sorellina "seme di rosa" e l'ambigua tenerezza di Gigi, la babysitter, di cui scoprirà solo in seguito (e a proprie spese) il vero mestiere.