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L'opera di Leopoldo María Panero, forse il più grande e controverso poeta spagnolo degli ultimi settant'anni, occupa un luogo unico nel panorama della lirica europea. Il poeta si gioca la vita ad ogni verso, in un processo d'impossibile equilibrio tra la creazione e l'autodistruzione che lo ha condotto a esplorare i terreni di frontiera della pazzia e dell'orrore. Dopo la corsa al precipizio delle droghe, del sesso e dell'alcool, testimoniato da "Narciso nell'accordo estremo dei flauti" (Azimut, 2005), in queste poesie "Dal Manicomio di Mondragón", l'autore dà prova dell'inferno psichiatrico a cui è condannato. Con uno stile pieno di sofferta originalità e maledettismo, di radicalismo vitale e di disprezzo, sentimentale e spietato, trasgressore senza limiti, Leopoldo María Panero, tra i muri del manicomio basco di Mondragón o tra quelli dell'istituto psichiatrico canario di Las Palmas, prigioniero della "superstizione sociale della follia", come ama urlare ai giornalisti che lo intervistano, discende senza alcuna cautela fino ai limiti umani più estremi con la bellezza perturbata dei suoi versi lucidi, terribili, che non possono lasciare indifferente nessun lettore.