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La religione che diventa ossessione come un quadro del Mantegna appeso perennemente davanti agli occhi. Così può essere descritta la prosa immaginifica dell'autrice. Monologo non è il termine esatto, Leda, la protagonista della narrazione, vive nei meandri della sua mente. Un susseguirsi continuo di flash visionari e quotidiani che conducono chi legge a perdere il fiato. Non c'è pausa, il ritmo è continuo e incalzante, suona come una canzone ascoltata in repeat. Ogni parola si trasforma in sensazione e diventa di carne, ogni scena assimila l'agonia di cui queste pagine sono piene: Leda infatti è una storia d'amore e dolore su carta, come un lungo canto che si scioglie facendo restare appiccicati i polpastrelli all'inchiostro. È una storia di una dolcezza che serra la gola, che procura il mal di stomaco per come graffia e scava nelle viscere. Nello scorrere delle pagine l'autrice crea altari per i ricordi, per le visioni, per gli attimi, per la consapevolezza. Leda vuole essere la consistenza stessa dell'emozione.