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La silloge di Giorgia Gruppuso si ricollega alla poesia di Maria Cumani per l'invito a credere nella vita, a lottare per non soccombere. La primavera che ritorna in noi è metaforica, è un segnale che il dolore non può annientarci. Giorgia ripercorre i momenti bui della propria esistenza: la depressione, gli attacchi di panico, gli istanti in cui l'anoressia spinge a scomparire, a diventare fiore appassito. Lo stesso titolo può essere interpretato in modo ambivalente: le ossa perdono la loro consistenza perché il fisico, non alimentato, deperisce, oppure nella disperazione alla fine rinasce la speranza di rifiorire, di riemergere.