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L'induzione indebita del pubblico agente rappresenta, da sempre, una delle condotte più problematiche per il diritto penale: essa, per sua natura e significato politico-criminale, sfugge ad agevoli tentativi di tipizzazione attraverso precise formule descrittive. Le vicende ermeneutiche della 'vecchia' concussione per induzione e quelle della fattispecie di induzione indebita a dare o promettere utilità introdotta dalla riforma del 2012 testimoniano la storia di uno statuto di tipicità 'difficile', sempre in bilico tra le opposte sponde dei comportamenti a base contrattuale e paritaria, caratteristici della corruzione, e quelli di illecita interferenza del pubblico agente nei processi motivazionali dell'intraneus, la cui volontà viene ad essere viziata attraverso forme di violenza relativa o di inganno. Un percorso analitico volto a restituire a tale ipotesi un 'volto' maggiormente compatibile con i limiti imposti dalla Costituzione repubblicana alla configurazione ed all'applicazione pratica delle fattispecie di reato, deve pertanto muoversi nella traiettoria suggerita dai valori del nullum crimen, cercando di tracciare un discrimen tra ipotesi 'di frontiera' che non si abbandoni mai ad elementi soggettivizzanti dal dubbio valore epistemologico, prediligendo, al contrario, più afferrabili indici a carattere normativo-qualitativo, i soli in grado di sottrarre l'applicazione di simili figure delittuose all'arbitrio dell'interprete o alle imprevedibili contingenze del caso concreto.