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Nell'arco della sua carriera, pochi temi hanno occupato Jean-Pierre Vernant quanto quello dell'immagine e del suo statuto teorico. Concentrandosi sul suo terreno d'indagine elettivo, quello della grecità, Vernant tratteggia una storia dell'immagine che prende le mosse dalle svariate e spesso aniconiche forme di idoli e simboli religiosi per giungere alle soglie del V secolo, quando la rappresentazione degli dei in forma umana segna l'avvento dell'immagine in senso proprio, cioè della resa figurativa del reale. È l'alba dell'arte: il simbolo si libera dalla sua dimensione religiosa e ritualistica e si fa rappresentazione, vale a dire apparenza, imitazione, somiglianza. L'immagine si rende autonoma, ma il prezzo di tale conquista è il confinamento alla sfera della parvenza e la contrapposizione al reale, all'essere, al vero. Indagando la paradossale compresenza di visibile e invisibile, di dato materiale e stratificazione simbolica, di elemento percettivo e piega immaginativa, Vernant delinea una vera e propria fenomenologia dell'immagine, capace di interessare non solo l'antropologia e la storia delle religioni, ma anche e soprattutto l'estetica.