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Tra i lavori di Hobbes, le due autobiografie rappresentano sicuramente dei testi sui generis. Seppur arricchite da tratti apologetici, elementi cronachistici e aneddoti vari, le due opere testimoniano comunque la sensibilità filosofica di Hobbes che in queste pagine, scritte in età molto avanzata, pare aver condensato i tratti essenziali del suo pensiero. Un resoconto della vita dell'uomo e del filosofo che il vecchio precettore di Malmesbury traccia con animo sereno e incredibilmente lucido, una summa del suo pensiero, o - per dirla con Richard Blackburne - "una briciola dell'acume intellettuale di Hobbes", un testamento per i posteri. La cifra emotiva che le caratterizza è la serenità, quel senso di pace, raggiunto dopo molti eventi turbolenti, che ormai consente a un anziano studioso di rivedere il passato da una prospettiva distaccata, alla fine di una vita lunga e singolare, e di fare il punto sugli eventi e sulle persone che hanno fatto da cornice allo sviluppo del suo pensiero.