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Il luogo da cui partire e dove ritornare, così per Sandro Angelini come per Sandro Scarrocchia, è Bergamo, nobile patria di radicamenti necessari variamente modellati in una città, minimamente autoreferenziale, autosufficiente. L'architetto Angelini nasce a Bergamo nel 1915, figlio dell'ingegner Luigi, spalla prestigiosa di Marcello Piacentini negli anni Venti per il centro direzionale e poi autore non meno prestigioso del piano per il risanamento della Città Alta e figura complessivamente eminente di un Novecento italo-lombardo decentrato ma non periferico. Un primo Novecento ancora cruciale nella città che nel 1949 ospitò l'importante CIAM, cui parteciparono Le Corbusier e Alvar Aalto - vissuto da Sandro Angelini in prima persona - e che rappresenta l'anello di congiunzione tra la centralità ben nota della vicenda urbana di Bergamo per la storia dell'urbanistica italiana e quella meno risaputa del secondo Novecento, di cui Sandro Angelini fu certamente protagonista. La monografia che gli dedica Scarrocchia ci guida alla conoscenza della sua personalità importante e non adeguatamente conosciuta non solo in qualità di architetto progettista di pregevoli e pure originali edifici sparsi nell'intera bergamasca, ma anche come figura autorevole della tutela internazionale, in quanto architetto restauratore attivo in Etiopia, Guatemala, Nepal, America Centrale e nell'Isola di Pasqua, e instancabile promotore di iniziative artistiche e culturali fino agli ultimi giorni della sua esistenza (Bergamo 2001).