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Ostilità confessionale e sete di potere sono al centro del racconto di ampio respiro dello scrittore svizzero Conrad Ferdinand Meyer, "Jürg Jenatsch" (1876), seicentesca storia cantonale ambientata nella zona di confine fra i Grigioni e la Valtellina all'epoca della Guerra dei Trent'anni. Il giovane pastore grigionese Jürg Jenatsch è stato mandato a Berbenno a predicare il protestantesimo in una terra a maggioranza cattolica, allora sottomessa ai Grigioni, ma ambita da Spagnoli e Austriaci per via dei suoi numerosi valichi alpini, per tutti di grande interesse economico. Dall'eccidio dei protestanti in Valtellina del 1620, noto come il "Sacro Macello" e programmato nel testo di Meyer dal barone grigionese Pompeo Planta, Jenatsch si salva miracolosamente, lascia la veste talare e, alleato del duca protestante francese Henri Rohan, s'impegna per liberare la Valtellina dai cattolici. Quando però la politica di Richelieu intralcia il suo progetto di totale indipendenza della sua terra, Jenatsch tradisce il duca, si converte al cattolicesimo, passa al partito spagnolo e riesce a far restituire la Valtellina ai Grigioni. Alla fine tuttavia muore per mano di Lucrezia, la figlia di Pompeo Planta, legata a lui da un rapporto di amore-odio, che lo colpisce a morte con la stessa ascia con cui Jenatsch aveva ammazzato a tradimento suo padre. Storia e finzione si fondono in questa prosa, dove ai fatti storici s'intreccia una complessa e ambigua storia d'amore cui fanno da sfondo le montagne e le valli della Rezia. La figura eroica che Meyer traccia di Jenatsch è stata ampiamente riveduta dagli storici, che di questa personalità hanno messo in luce l'opportunismo e l'indomita smania di potere, che lo spinsero fino alla massima abiezione morale.