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Per circa quattro anni, due esseri umani si incontrano in una stanza, cinquanta minuti, due volte a settimana. Raccontata dalla prospettiva della sua analista, la trasformazione di Pietro - giovane paziente dalla personalità mosaicale - descrive il passaggio da una fenomenologia schizoide, intrisa di magismo, a una qualità dell'esperienza più condivisa. Come in ogni storia vera, al contatto corrisponde un contagio. Dall'incontro con l'inquietante estraneità dell'altro si approda lentamente a un terreno comune, più sano e sonoro. La musica rappresenta lo sfondo simbolico e il principale canale affettivo della cura. Emerge anche una domanda di ricerca tra psicoanalisi e neuroscienze: in principio era il suono? Penetrando nel vivo dell'esperienza analitica e lontano da ideologismi, il libro testimonia quanto il lavoro clinico possa essere alimentato dal confronto tra diversi orientamenti terapeutici, non più concepiti come fazioni claustrofiliche, ma come altre vie d'approccio verso l'umano.