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Quando il Marchese d'Argens, nel 1737, pubblica "La Philosophie du bon sens, ou Réflexions philosophiques sur l'incertitude des connoissances humaines", colloca la materia storica in cima alla scala gerarchica delle "incertezze" che reggono il presunto sapere umano. Sull'incertezza della storia apre dunque un nuovo capitolo settecentesco dello scetticismo e va a sintonizzarsi su alcune frequenze tipicamente "libertine" dell'indagine sulla storia (quasi cent'anni prima, La Mothe le Vayer, nume tutelare di d'Argens, aveva scritto intorno alla "poca certezza che c'è nella storia"). La scepsi critica vuole qui decostruire ogni impianto storico-storiografico, onde colpire al cuore la triade autorità-tradizione-religione, cioè le fondamenta dell'ethos su cui si è costruito il mondo occidentale per il suo odioso, soggiogante e mistificante kratos. Lo sguardo beffardo, il tratto spesso blasfemo (per quanto ben dissimulato), la grande erudizione, l'impegno nello smascheramento delle imposture fanno di "Dell'incertezza della storia" un testo importante e tipico di quel libertinage érudit che, per nulla spento nel XVIII secolo, procede parallelamente e contro le nuove certezze della ragione "illuminata".