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Quando il cinema americano sceglie di riflettere su se stesso, la figura della diva emerge come soggetto privilegiato. Analizzando alcuni dei più significativi film di ambientazione hollywoodiana, la ricerca si sofferma sul groviglio di aspirazioni femminili, timori culturali e tensioni sessuali che da sempre accompagnano tale figura. Partendo dalle commedie degli anni Venti come "Maschere di celluloide" di Vidor, in cui la star è un'ingenua pioniera, si passa ai mélo del decennio successivo come "È nata una stella" di Wellman, che prendono coscienza del lato oscuro del sogno divistico. Infine, si arriva ai capolavori del dopoguerra, come "Viale del tramonto" di Wilder e "La contessa scalza" di Mankiewicz, in cui le protagoniste sono ormai deliranti astri in declino o sex symbol condannate a una carriera fortunata ma alla sconfitta nell'ambito privato. Particolare attenzione, inoltre, è stata prestata al caso del musical: tanto nel memorabile "Cantando sotto la pioggia" di Donen e Kelly quanto nel più oscuro "Lo strano mondo di Daisy Clover" di Mulligan, la diva si pone come presenza eversiva, decisa a non lasciarsi stritolare dagli alienanti meccanismi della tecnologia sonora.