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"Sentimus experimurque nos aeternos esse" suona uno dei passi più celebri di Spinoza; ma poi vale senz'altro e anzi preliminarmente per lui che nos in continua vivimus variatione. Non è forse, come lui stesso scrive, che è dall'"esperienza" che muove, impegnato a cercar l'eterno, in quanto disgustato e deluso dalla vanità del mondo? Laddove noi sappiamo che, per l'intera cultura occidentale, là dove si fa esperienza di "mutamento" o "variazione", là si è senz'altro persuasi di esser dinanzi, più o meno consapevolmente, a un diventar nulla e da nulla. E, unitamente a ciò, quali suoi inevitabili compagni concettuali, si è parimenti certi della fondatezza delle nozioni di "causa" e di "sforzo" - così centrali e determinanti nell'ontologia di Spinoza. Laddove è perspicuo, secondo la grande lezione di E. Severino, che il concetto di "causa", cui quello di "sforzo" può ben ridursi, implica la più radicale smentita del vero eterno: una consapevolezza, questa, che riconduce il Dio di Spinoza, nonostante tutto, in seno alla tradizione greco-cristiana e, perciò, alla sua radicale e inevitabile catastrofe per ragioni essenzialmente endogene (Nietzsche). Eternità mancata, la sua (come ogni altra forma di eternità avvistata su basi nichilistiche). Prefazione di Emanuele Severino.