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Hervé Guibert è un ventenne esordiente e Michel Foucault uno stimato professore al Collège de France, autore di alcuni libri eccezionali, quando si incontrano nel 1977, all'uscita del primo libro di Guibert, "La Mort propagande". Ora minuscole e lontane, ora chiaramente udibili sono le eco dell'opera di Foucault in quella del giovane amico, con il quale fu intimo tra il 1977 e il 1984, anno della morte del filosofo. Da queste spie sono partito per una ricognizione più grande che mettesse in comunicazione le due opere, trovando vasta corrispondenza e conferme nei temi, nelle ossessioni, perfino nelle immagini. I due non sono solo uniti dall'interesse per l'anormale, il marginale, il potere ma dalla stessa sorte tanatologica. Entrambi colpiti dall'AIDS, decideranno però di viverla in modo radicalmente diverso. Foucault non fa nessuna confessione e la famiglia preferirà tacere inventando una causa di morte fittizia quanto trasparente; Hervé Guibert ne farà il punto di svolta della sua vita e della sua scrittura. In "A l'ami qui ne m'a pas sauvè la vie" rivelerà la malattia diventando d'un sol colpo l'autore più venduto e intervistato, un autore infame che non pago della propria confessione, rivelò sotto la patina sottile della fiction la vera causa della malattia del filosofo suo amico. Traditore o fedele amico? La lettura degli ultimi corsi di Michel Foucault ci invita a leggere nell'attitudine guibertiana l'ultima figura del parresiasta, l'uomo che non ha paura di gridare il vero a rischio della propria vita. L'uomo che insegue nella letteratura la realizzazione della propria vita e crede di vederla proprio quando sta per terminare.