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Montaigne o la profondità della carne indaga l'atteggiamento non vinto, e anzi quasi ginnico, che il grande scrittore francese ostenta davanti ai morsi del mal de la pierre (oggi parleremmo di calcolosi renale) unitamente al veleno di giudizi tranchant, suoi e importati, coi quali egli intende demolire la possibilità stessa di un'epistemologia medica. Dopo Petrarca, Montaigne rinnovava dunque i termini di una polemica contra medicos a cui peraltro il Cinquecento fu partecipe con notevole lena. Nel doppio nodo della malattia e dell'assoluta vacuità delle diagnosi e delle prognosi rifilate a caro prezzo da dottori inchiodati all'incompetenza, si raccolgono innumerevoli problemi, al fondo dei quali non è difficile riconoscere la questione del corpo, del suo statuto, della sua pesantezza e, ciò che più conta, del nesso inspiegabile e indubitabile con l'esprit. Fatto di pezzetti, ognuno dei quali va per conto suo, il corpo non è un oggetto o una rappresentazione di cui ritrovare la verità oltre le cose sensibili. Uomo del Rinascimento, Montaigne si colloca agli antipodi del progetto medievale di disincarnare l'anima allontanandola dal corpo. Il corpo è il campo totale delle nostre esperienze volontarie e involontarie, non la prigione dell'anima. Detto in estrema sintesi, il corpo è il nostro vissuto e la nostra memoria. L'autore dei Saggi vi scorge anche l'anamnesi incarnata del padre. Infatti, ha derivato da lui il mal de la pierre che lo molesta, ma senza che il suo esprit sia ammutolito dal male...