Tab Article
Gher e ghar sono la vocalizzazione e traslitterazione dall'ebraico della radice "Gime, l + Re-s", che significa "essere straniero" quando usato come sostantivo gher e "abitare" quando usato come verbo, ghar. Quelli che per la tradizione Occidentale sono due termini in opposizione, nella cultura ebraica costituiscono invece un'unità essenziale. Nell'Antico Testamento la 'eReTs, la terra, non può essere posseduta da alcun individuo in particolare, perciò nessuno vi può fondare alcuna costruzione. La terra può essere ceduta in uso per un tempo definito, ma mai in proprietà. Di conseguenza l'ebreo si sposta continuamente (Re-s), abitando in modo instabile luoghi e idee. L'esilio e, infine, la diaspora, trasferiscono nella storia questa modalità, che si traduce in una elezione allo sradicamento e al deserto; all'estraneità persino nel luogo più intimo, la propria casa. Impossibilità al radicamento, al contrario di come invece è concepita da sempre l'architettura Occidentale. Affermativa, epistemica. Una rivoluzione architettonica che, passando attraverso la riscrittura dei codici dell'abitare diviene a tutti gli effetti una rivoluzione culturale con la quale iniziare a confrontarsi. Le vocalizzazioni gher e ghar sono state riprese dal libro di Shmuel Trigano "Il tempo dell'esilio".