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Lo scopo di questo lavoro sta nel tentativo di cogliere, al suo nascere, il rapporto tra vissuti e pensieri in un autore postumo, come Carlo Michelstaedter, che tentò disperatamente di superare il distacco tra vita e pensiero, sentito come un'imposizione inaccettabile. Il biografo, inteso come colui che si aggira intorno all'inafferrabile di un'esistenza, cerca di cogliere il passaggio fra il quotidiano, con le sue banalità, le sue fragilità, le sue crisi, i suoi slanci e la trasfigurazione ed elaborazione concettuale. Ha inseguito, con attenzione affettiva, lungo la breve esistenza di Carlo Michelstaedter, culminante in poco più di due anni di lavoro matto e disperatissimo, i momenti significativi di questo passaggio in cui l'emozione incomprensibile e potente o il modesto incidente quotidiano vengono piegati creativamente verso immagini che trapassano in concetti. In tale contesto assume particolare importante la dimensione onirica che agisce nel pensiero di Michelstaedter. Più precisamente, il biografo ha cercato di mostrare, attraverso le parole di Michelstaedter, il duplice gioco del pensiero, di trasfigurazione e di difesa nei confronti della fatica di vivere. Il tutto nel contesto storico estremamente denso di una Finis Austriae vissuta da un giovane di famiglia ebraica in una città austriaca, a maggioranza di lingua italiana, capoluogo di un territorio slavo al confine con l'Italia.