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La "competitività" ricorre oggi nel linguaggio comune. E sembra porsi quale esigenza assoluta sia per poter agire sul mercato mondiale, sia per stemperare le rigidità organizzative pur esistenti in ogni amministrazione e in ogni impresa. Ma è ormai evidente che, una volta introdotto il competere tra lavoratori, immediatamente si apre la via che conduce verso la precarietà, l'asservimento, la pericolosità per la vita stessa; mentre declinano la torza rivendicativa e lo spazio per i diritti. L'imperativo della competizione sembra investire ogni aspetto dell'esistenza umana. E nella forma estrema, l'ipercompetizione, può condurre a esiti opposti, a comportamenti di aggressione o viceversa di rinuncia. Questo libro affronta il "dogma" in questione, non nascondendo certi suoi fondamenti ma insieme svelandone sia le possibili derive verso l'irrazionalità e la barbarie, sia l'intrinseca autocontraddittorietà. Infatti, oltre a emergere una forte disparità di potere fra i grandi attori dell'economia finanziaria globale, si rileva un progressivo ridursi del loro numero, quindi una possibile tendenza verso il capovolgersi della competizione nel suo stesso opposto, cioè verso il dominio di pochi giocatori, in grado di stabilire accordi fra loro e dominare la scena mondiale. Introduzione di Luciano Gallino.