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Una città di provincia, dipinta senza mai cedere al facile sentimentalismo nostalgico del "come eravamo" e colta nel preciso momento in cui la sua immobilità è stata infranta dall'instaurazione di nuove dinamiche sociali, quando "il firmamento dei grandi cittadini, dopo essere rimasto immobile secoli con le sue ben conosciute stelle fisse" ha assistito, tra diffidenza e invidia, all'ascesa di nuovi volti, tanto potenti quanto volgari, alcuni nati e cresciuti nel suo stesso connettivo storico e culturale, altri provenienti dagli sconfinati spazi di un'Europa orientale che ha da poco assistito all'apertura, o forse dovremmo dire al crollo, delle frontiere che la tenevano rigorosamente e prudentemente separata dal mondo occidentale. "Il signor Inane" è un romanzo corale e, prima di tutto, una storia di sconfitti, di vinti. "E Maria?" si chiede Sandro Melani nella Prefazione "È una vinta anch'essa, certo, giacché il soffocamento di quella stilnovistica angelicazione che le sarebbe concessa dalla sua potenziale capacità di rendere gli altri partecipi della sua "dote d'intelletto d'amore" la condanna alla prepotenza del "male oscuro".