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È allegro, indefinito e caotico, il mondo dei cuochi nella Roma Imperiale. Furfanti geniali e creativi, controllati a vista dai ricchi patrizi che li prendevano 'a nolo' al mercato, erano ricercati e temuti e, nell'arco dei secoli, sono stati gli artefici invisibili di quelle celebrate bontà che noi oggi consideriamo ardite mescole. Quello dei Romani è un gusto per palati assai diversi dal nostro: noi siamo troppo abituati a cibi sorprendentemente estranei alla nostra terra, per apprezzare gli intingoli che mandavano in visibilio i Romani, per cui anche la sola capacità di versare la giusta quantità di garum nelle vivande, era un'arte. Per gli storici sembra quasi che i romani passassero la loro vita a tavola: li rappresentano come ghiottoni insaziabili, ma in realtà fino a sera facevano quasi a meno di mangiare e, per secoli, apparecchiarono le mense solo a giornata finita. Va chiarito che protagonista di queste pagine è una categoria professionale, anche se il nostro racconto inevitabilmente attingerà informazioni dalle fonti che si soffermano sui grandi mercati dell'Impero, dove era possibile reperire i cuochi più ricercati e in grado di lavorare i generi alimentari più rari.