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La pandemia del coronavirus impone un passaggio d'epoca. Come d'improvviso, la linea del tempo si è spezzata, e il presente ci costringe a girare pagina, a sancire una irrimediabile rottura con tutto ciò che è stato fino ad ora. Il prima diventa davvero e definitivamente passato. Ma occorre stare attenti. Nell'interrogare e interpretare le tracce, i segni, le memorie che il passato ci restituisce, non ci può essere nessun sentimento di rimpianto, nessuna proposta di un insensato, peraltro impossibile, ritorno al tempo andato. Né a quello recente della «modernità», né a quello più remoto della «tradizione». Si tratta piuttosto di provare a far tesoro del passato, riconoscendone gli errori, gli eccessi, le incongruenze, e insieme ripercorrendone gli elementi preziosi che abbiamo perduto, che abbiamo più o meno consapevolmente rimosso, nella nostra baldanzosa rincorsa di un benessere assoluto. Si tratta di ritrovare un equilibrio nel modo di vivere il pianeta che abitiamo, nel rapporto che instauriamo con la natura, con le altre specie, e in primo luogo con la nostra.