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Essere o concetto, idea o realtà? O nessuno dei due? Nulla sembra più sfuggente, per il pensiero filosofico, del possibile. Se da un lato appare inconsistente, "quasi niente" (sono soprattutto i neoplatonici ad averne sottolineato l'affinità con il nulla), dall'altro si impone alla riflessione, prigioniera di un'insuperabile circolarità, come il suo necessario presupposto. Non sarà proprio questa circolarità un indizio del fatto che il possibile è mescolato all'essere (e innanzitutto all'essere del pensiero) a tal punto che separarli equivarrebbe a separare la luce dall'ombra? Che cos'è in fondo la "meraviglia" del filosofare se non l'esperienza di un pensiero "possibile"? La scommessa di una filosofia del possibile è quella di liberare da un reale appiattito sull'esistente la carica eversiva delle sue possibilità inespresse. Nessuna sorpresa dunque che al possibile si leghino le speranze escatologiche dell'umanità irredenta. Dispositivi quali la critica e l'utopia, ma anche il pensiero teologico, hanno come principale bersaglio proprio il monolite dell'esistente innalzato a "destino", poiché infine la ricerca del possibile non è altro che l'avventura stessa della filosofia.