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Se il lavoro dei semiotici sulle teorie del complotto ha uno scopo, non è quello d'indicare, da un punto di vista supposto come neutrale, chi ha ragione e chi ha torto, chi ha creato una falsa teoria del complotto e chi svela un segreto pericoloso. Lo scopo della semiotica è, piuttosto, quello d'indicare le condizioni discorsive che favoriscono la proliferazione del pensiero complottista o anti complottista e, allo stesso tempo, quello di suggerire come riformulare il conflitto in un quadro discorsivo diverso, che non si limiti a creare retorica polemica ma getti le basi per l'azione sociale. Il problema delle teorie del complotto, infatti, da un punto di vista semiotico non risiede nella loro presunta fallacia logica o scientifica, ma nel fatto che esse sono un mezzo per esprimere una preoccupazione sociale che, altrimenti, resterebbe inespressa, vale a dire, l'angoscia verso la crescente decostruzione delle conoscenze nelle nuove arene digitali. Semiotici e altri studiosi sociali dovrebbero pertanto operare per la creazione di uno spazio collettivo in cui la confusione evidente dell'attuale comunicazione digitale possa essere reindirizzata verso soluzioni più convenienti.