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A settant'anni da una morte ancora parzialmente avvolta nel mistero, Guido da Verona rimane il caso più eclatante di romanziere italiano vittima di un inflessibile ostracismo critico-storiografico postumo, dettato da ragioni assai più politiche che letterarie. Un critico severo come Luigi Russo, nel suo celebre "I narratori" del 1923, dedicava invece all'autore di Mimi Bluette uno spazio e un interesse inferiori solo a quelli riservati a Pirandello, ed è innegabile che da Verona, nel primo quarto del Novecento, sia stato lo scrittore di gran lunga piú letto ed amato da una borghesia colta che oggi sarebbe troppo facile condannare come illetterata ed incompetente solo perché ebbe la ventura di attraversare il ventennio fascista. Questo studio analizza criticamente l'intera opera daveroniana mettendone in luce pregi e difetti, confrontandola con il retroterra politico-letterario del primo Novecento in Italia e dando rilievo al notevole debito che hanno successivamente contratto con da Verona alcuni degli scrittori italiani di maggiore successo.