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Nell'estate del 1148 d.C. Khalaf ibn Ishaq, mercante in Palestina, scrive una lettera all'amico ebreo Abraham Ben Yijù, che viveva allora in una città di nome Mangalore, un porto sulla costa sudoccidentale dell'India. Parla di alcune merci inviategli da Ben Yijù, un carico di noci d'areca, due serrature prodotte in India, due coppe d'ottone, e annuncia all'amico che insieme con la lettera gli manderà alcuni doni: due vasi di zucchero, un vaso di mandorle e due di uvetta. Alla fine della missiva, Khalaf ibn Ishaq nomina quasi di sfuggita uno schiavo indiano di Ben Yijù al quale raccomanda di porgere «moltissimi ringraziamenti». La lettera è catalogata come manoscritto H.6 alla Biblioteca Nazionale e Universitaria di Gerusalemme. Attraversando i sottili confini che separano il presente dal passato, con in mano soltanto il frammento di questa lettera, Amitav Ghosh si mette alla ricerca dello schiavo indiano che vi è nominato, una figura che gli appare come una chiave per intendere e raccontare una Storia fatta di tante storie, diaspore e guerre, tradizioni e incontri, rotture e sparizioni. Centro della vicenda sono due villaggi egiziani, luoghi di uno straordinario apprendistato linguistico e umano, e punti di partenza per una lunga indagine.