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"La storia di Cristoforo Racil, povero, che vive su una vecchia panchina di legno 'Io sono Cristoforo Racil, sono veramente povero e disoccupato e sto solo, seduto sopra una vecchia e sverniciata panchina di legno, sotto gli alberi semispogli...' Il disoccupato percepiva quel poco che gli stava intorno, fra il reale e l'immaginario, e s'illudeva di non essere solo perché gli pareva che ci fossero ancora, anche se deformati dal malanimo, i suoni e le presenze umane, mentre, nella sua indigenza, tutto stava raccolto nell'imponderabile astrazione del tempo e dello spazio che teneva dentro la testa. Il tempo passava e per una riflessione che non mutava però la sua condizione dolorosa, gli appariva bella e giusto che così accadesse. Forse, si diceva, perché il tempo è molte cose, è anche movimento, vita, spazio ed è come un meraviglioso quadro o una musica solenne. Il tempo è futuro, anche per chi non ce l'ha, e il futuro può essere diverso dal presente. I raggi del sole che attraversavano i rami tremuli e spogli degli ontani, si posavano sopra il suo capo ricoperto di capelli stopposi, sudici e arruffati. La delicata luce gialla calava morbida, fra le ombre sbiadite delle stecche verdastre della panchina e il grigiore del viale lungo il quale il libeccio sparpagliava la sporcizia. Egli si sentiva affondare in una febbricitante sonnolenza..."