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"Addio rivoluzione" racconta il lungo autunno caldo della Repubblica, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta del secolo scorso e rende anche conto degli antecedenti storici, sociali e culturali che hanno portato a quel periodo. Seguendo l'autore - dalla Parigi degli anni Cinquanta, in una famiglia di comunisti italiani di professione, alla Bologna degli anni Sessanta e Settanta, vetrina del buon governo PCI - vengono ricostruiti il clima intellettuale e i percorsi politici di allora: la FGCI, i primi gruppi extraparlamentari, il Sessantotto, ma anche i riflessi del Movement americano, la Beat Generation, l'amore per la poesia. E poi Potere Operaio, l'Autonomia, Prima Linea, fino alla dissociazione politica, all'opzione per la democrazia e, a metà degli anni Ottanta, alla rottura radicale con il marxismo e l'idea di rivoluzione. Un saggio che si legge come un romanzo, una biografia che si snoda attorno ai momenti cardine di quel periodo, e che sa cogliere tutte le suggestioni di pensiero (filosofiche e politiche) che giustificarono ogni scelta, anche quella estrema. Una mappa che accompagna il lettore nei meandri di quegli anni: sia il lettore che li ha vissuti e poi, spesso, dimenticati; sia quello che ne ha sentito solo l'ormai sbiadita narrazione e non li ha mai realmente percepiti portando entrambi alle soglie di una scelta di campo. È uno schietto mea culpa, una critica feroce dell'ideologia e del totalitarismo; soprattutto, è un'ode ragionevole a ciò che oggi è inviso ai più: la politica e gli ideali della democrazia rappresentativa e del liberalismo. Un po' di pathos, parecchia ironia, nessuna compiacenza, molta pietà. Per tutti.