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Nel corso del ventennio fascista l'abituale immagine dell'avvocatura priva di ogni nobiltà d'arte si riveste di una connotazione politica, sicché diventa prioritario ridimensionarne il valore e comprimerne il significato all'interno delle complesse dinamiche giuridiche. Lo scopo è perseguito attraverso una sostanziale attività di controllo, che culmina nell'imposizione di regole procedurali e di schemi fissi comportamentali. L'avvocatura risponde a questi attacchi mediante l'avvio di un processo di autoregolamentazione, indirizzato alla formulazione di un complesso di principi deontologici. La configurazione di regole e modelli comportamentali è attuata con il contributo della riedizione dei più importanti galatei ottocenteschi e la pubblicazione delle difese degli avvocati più rinomati, ma anche con la realizzazione di diversi manuali di argomento deontologico. Uno dei più noti e diffusi è il testo che qui si riproduce, "Le macchie sulla toga. Psicologia dell'avvocato", di Genuzio Bentini, che ha il merito di definire i caratteri peculiari, tecnici e spirituali, necessari per l'individuazione di un modello di avvocato penalista. Scava nella profondità dei pensieri e dei sentimenti dell'avvocato e offre un'interpretazione del modo di intendere la professione forense e di affrontare le fasi più emblematiche del suo materiale dispiegarsi.