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Scritto nel 1677, per il Delfino di Francia, Luigi di Borbone, figlio del re Luigi XIV, il Trattato sul libero arbitrio è un importante documento che non solo aiuta a cogliere le radici del pensiero filosofico di Bossuet, ma addirittura offre eleganti scorci dello spirito di quel Grand Siècle, in cui il Vescovo di Meaux non fu un semplice comprimario sulla scena del dibattito teologico-filosofico. In effetti, nell'elevato milieu filosofico impregnato di agostinismo, tomismo e cartesianismo, quest'opera testimonia il rigore speculativo di un Bossuet, a cui troppo spesso la critica ha lesinato il titolo di filosofo, limitandosi a riconoscergli il vigore e il fascino dell'oratore. Di certo, nel Trattato sul libero arbitrio troviamo i tratti salienti del grande Bossuet: la potenza dello stile, la chiarezza dell'esposizione e la solidità del pensiero. Questi tratti si fondono felicemente in un appassionato discorso sulla libertà. Sulle orme di Agostino e di Descartes, Bossuet abbraccia i diversi tentativi di teologi e filosofi per associare e conciliare quelle che sembravano res insociabiles: la libertà umana e i disegni della Provvidenza.