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La finanza pubblica sembra legittimarsi solo nel perseguimento del pareggio dei bilanci statali, anche quando questa politica del rigore contribuisce a produrre recessione e conseguente disoccupazione. Si è così perduta la percezione della polis come luogo che ospita la vita sociale e dove le politiche di bilancio potrebbero contribuire al desiderio della convivenza sociale invece che all'amaro destino di vite solitarie. La scienza economica dibatte da almeno due secoli di queste alternative, attraverso teorie che la storia valuta robuste e altre che appaiono ispirate da un pensiero tanto dominante quanto debole. In questo libro si ripercorrono, sinteticamente le idee che hanno ispirato e ispirano le azioni macroeconomiche della finanza pubblica. Si sostiene la tesi dell'esistenza di teorie che inseguono l'incrollabile mito della mano invisibile, altre che per propria convenienza rovesciano gli originali concetti cui dichiarano di ispirarsi, come ad esempio quello hobbesiano del Leviatano, e altre che invece con coraggio si avventurano tra le difficoltà epistemologiche proprie delle scienze sociali. Un invito a destrutturare, con il desiderio già espresso da Joan Robinson di periodiche pulizie di primavera.