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L'anelito dell'uomo alla felicità è condizione assoluta. Appartiene alla sua natura. E un dato antropologico immutabile, eterno. Esso nasce con l'uomo di ogni tempo, cultura, lingua, popolo, etnia, religione a cui appartenga. E Dio stesso che ha posto, come seme, tale desiderio. Mai quanto in questa fase complessa della postmodernità il tema risulta così attuale. L'emancipazione dalla Verità, la dispersione, la confusione, il relativismo, la caduta della metafisica, l'edonismo, la ricerca del piacere per il piacere, del potere per il potere, del possesso per il possesso che riducono l'uomo a non-uomo, pongono urgente questa domanda: è possibile essere felici oggi? Come esserlo? In qual misura e in che prospettiva? Siamo destinati all'eterna infelicità oppure c'è un'ancora di speranza da gettare nelle acque tempestose e travolgenti della nostra storia? Le domande di sempre vengono analizzate e vagliate a partire dal confronto di due grandi maestri del sapere: Seneca e Agostino; entrambi ricercatori della felicità; entrambi scrittori di un testo dall'egual titolo: il De vita beata e il De beata vita. Essi possono essere ritenuti quanto mai "odierni" per lo sviluppo di un nuovo modello antropologico umano e cristiano.