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Soprattutto a partire dalla metà degli anni Trenta Heidegger medita sulla situazione di crisi che interessa oggi la teorizzazione e la prassi artistica, a causa della quale le opere d'arte sono concepite unicamente come mezzi per attivare le "esperienze vissute" del fruitore e ridotte a meri prodotti tecnici, incastonate in una realtà ormai trasformata in risorsa calcolabile e completamente dominabile. Heidegger ritiene però che la stessa tecnica moderna non sia uno strumento nelle mani dell'uomo, ma un modo di manifestarsi dell'essere stesso che, sottraendosi, ha occasionato l'oblio della sua verità in quanto non-nascondimento ad opera della metafisica, e la posizione della questione del bello a partire dallo stato sensibile dell'uomo da parte dell'estetica. Rammemorare l'obliata verità dell'essere vuoi dire dunque preparare quel superamento tanto della metafisica quanto dell'estetica, per il quale si richiede innanzitutto un'esperienza della situazione di distretta che caratterizza la nostra epoca. Tale distretta, già giunta a parola nelle liriche di Hólderlin, dev'essere lasciata risuonare nell'arte non meno che nel pensiero, se l'essenza dell'arte è la poesia in quanto poiesìs, disvelamento.