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Approdato in Calabria all'inizio degli anni sessanta, lo scautismo cattolico femminile si presentava come un fenomeno giovanile orientato a scommettere sul protagonismo delle ragazze in virtù di un metodo educativo fortemente proiettato verso l'autonomia dell'individuo, l'affermazione di valori comunitari, la valorizzazione pedagogica dell'esperienza. Marginale rispetto alla dinamica associativa nazionale, il guidismo calabrese diede tuttavia un contributo originale alla formazione delle élites femminili locali: esso offriva una risposta impegnativa e motivante a una forte domanda di novità, di autenticità di esperienze e di rapporti, di profondità della prospettiva pedagogica. Più che alla memoria condivisa del movimento, quella che il guidismo calabrese ha da raccontare è una storia significativa rispetto alla modernizzazione del binomio genere-educazione nel meridione d'Italia. Alle guide e ai loro coetanei la Calabria di quegli anni non offrì come scenario di impegno il sessantotto studentesco e operaio. Ma l'esperienza educativa del guidismo calabrese non maturò nel deserto. Le giovani donne che parteciparono in quegli anni alle attività scout, trovando poi occasioni e strumenti per mettere in pratica nelle proprie città quanto avevano imparato, avrebbero conservato la sensazione di aver preso parte, anche grazie allo scautismo, a un momento di risveglio e di presa di coscienza che le coinvolgeva direttamente in quanto giovani, in quanto cristiane, in quanto donne del Sud.