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Durante gli anni Sessanta, nel periodo delle grandi migrazioni verso le fabbriche del Nord, alcuni meridionali decidono di abbandonare le tute blu per tornare a casa. Nelle campagne pugliesi, infatti, si va estendendo un'inedita possibilità di lavoro: l'alternativa alle fabbriche si chiama caporalato, un sistema che gestisce schiere di braccianti uomini e donne costretti dalla miseria a spaccarsi la schiena sui campi, dopo viaggi infernali a bordo di furgoni scassati. Proprio quei furgoni della morte diventeranno l'emblema di una stagione terribile del mondo del lavoro, in particolare del bracciantato femminile: un tragico e quotidiano copione di lutti, fra chi in un incidente perde la vita e chi - come Titti, una delle protagoniste di questo romanzo - resta invalida. Un giorno, però, le fimmene decidono di ribellarsi al caporalato e all'ipoteca che questo sistema minaccia di gettare sul loro futuro, dopo aver già segnato il destino delle loro madri e delle loro nonne. La sede della Camera del Lavoro, che per lungo tempo aveva ospitato solo partite di briscola fra anziani, torna così a essere il luogo in cui progettare il sogno della libertà. Un sogno che vedrà combattere al fianco di Titti e delle altre fìmmene anche l'ex caporale Vincenzino e il giovane sindacalista Michele. Un sogno acerbo e denso di coraggio, che dovrà però fare i conti con la durezza di una realtà che pare immutabile.