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Tra la folla di personaggi che popolano le pagine de "La recherche du temps perdu" di Marcel Proust, è senza dubbio Albertine a svolgere un ruolo centrale. Non a caso, la sua figura è sempre stata al centro della critica proustiana che, pur da prospettive ermeneutiche di volta in volta diverse (psicoanalitica, strutturalista, post-strutturalista, decostruzionista, storico-filologica), ne ha evidenziato le infinite declinazioni di senso e, dunque, la sostanziale inafferrabilità. Nel prendere le mosse dallo «stato dell'arte», il volume si concentra, in particolare, sui tratti androgini e sul sostrato mitico-metamorfico del personaggio, rivisitandolo alla luce di archetipi sia classici che moderni, ed evidenziando come il suo tratto sfuggente evochi, in un complesso gioco di specchi, la natura sfuggente e impalpabile del desiderio del Narratore (e, per certi versi, dell'autore). Da tale punto di vista, lo stesso carattere incompiuto del testo diventa, a sua volta, segno dell'incompiutezza/evanescenza del desiderio e dello spazio segnico che lo sottende.