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Le nuove frontiere della cooperazione giudiziaria tra Stati possono rappresentare un «modello» di come la futura cooperazione giudiziaria evolverà, senza rinunciare alla tutela e al rispetto di garanzie fondamentali irrinunciabili. La vetusta concezione di sovranità - messa a dura prova dagli istituti del riconoscimento delle sentenze straniere - andrebbe pertanto contemperata con un reale spirito di mutuo riconoscimento, improntato ad un'effettiva e «reciproca fiducia» tra Stati, a maggior ragione quando ciò avvenga tra quelli che vogliano far parte di una stessa Unione. Tuttavia, l'interprete non dovrà dimenticare che la Corte di Giustizia ha chiarito come il giudice comune sia tenuto a discostarsi da orientamenti giurisprudenziali centrifughi, anche laddove consolidati e supportati dai massimi organi giurisdizionali dello Stato membro. Ne deriva una fitta rete di salvataggio, nella quale le chances di puntuale adempimento al diritto dell'Unione sono massimizzate dagli obblighi di fedeltà che incombono su ciascuna autorità nazionale. Ne deriva, dunque, che la disciplina destinata a raggiungere l'individuo dovrà, in ambito europeo, essere frutto di un intreccio tra norma dell'Unione non direttamente applicabile e norma nazionale di esecuzione della stessa: per l'intero complesso normativo così risultante, sarà ancor più difficile valutare se la specifica disciplina attuativa del principio del mutuo riconoscimento sia capace di garantire, insieme all'obiettivo della cooperazione tra amministrazioni nazionali, anche la tutela di ogni persona coinvolta nel procedimento. Invero, l'indagine evidenzia una delle maggiori criticità del tema delle sentenze straniere, rappresentata dalla «deriva» inquisitoria intrapresa, in termini di garanzie effettivamente riconosciute, dimostrata dalla creazione di banche dati internazionali e comuni dove il precedente di uno Stato estero viene ad essere, soprattutto nell'ambito dell'Unione europea, non tanto un «documento», quanto un «dato», con tutte le immaginabili conseguenze in ordine alla sua utilizzabilità, senza, cioè, che vi possa essere un'accurata verifica e valutazione circa il compiuto ed effettivo riconoscimento ad ogni individuo delle garanzie minime di un giusto ed equo processo.