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La revisionabilità dei rapporti contrattuali incorsi in sopravvenienze modificative degli equilibri sottesi alla stipula costituisce materia oggetto di studio di lunga tradizione (tomistica, diritto canonico, Codex Maximilianeus Bavaricus Civilis), in quanto prodromo di garanzia di equilibrio «giusto» tra le prestazioni: la ricerca di mezzi adeguati al rispetto dell'assioma del «giusto prezzo» (Digesto) ha prodotto, nel Medioevo, l'istituzionalizzazione della rescissione contrattuale per lesione e della c.d. clausola rebus sic stantibus. Il saggio è dedicato, per la prima parte, all'indagine sulla casistica concernente il ius variandi, istituto che può, ad oggi, ritenersi generalmente applicabile in materia contrattuale, e ciò, non solo alla luce della norma positiva, ma anche della prassi; per la seconda parte, al tema della rinegoziazione, collocabile tra gli strumenti sempre più solidi ed efficaci per una concreta conservazione in executivis di quell'equilibrio contrattuale che ben incarna il principio generale, proprio della disciplina contrattuale modernamente intesa, della proporzionalità tra le prestazioni e, soprattutto, tra le posizioni contrattuali. Nel corso del tempo l'uso della clausola attributiva di ius variandi o della clausola rinegoziativa ha sempre più incarnato la garanzia di una maggiore stabilità all'assetto d'interessi sotteso alla stipula, maggiormente in linea con il principio di cui all'art. 1372 c.c. (contratto come atto avente forza di legge tra le parti): non elementi che privino l'accordo di efficacia vincolante ma, al contrario, che ne consolidano nel tempo il vincolo, anche a fronte di eventuali sopravvenienze, costituendo un valido quomodo exeas.