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L'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori ha svolto storicamente, attraverso la mediazione giudiziaria, un ruolo centrale di garanzia dell'effettività delle tutele dei diritti sindacali. La norma ha dovuto confrontarsi con le disarmonie e le fibrillazioni del sistema delle relazioni industriali svolgendo una funzione che andata ben al di là delle sue finalità originarie. Tuttavia la formulazione della norma risulta incoerente con le modifiche apportate all'art. 19 St. lav. prima dal referendum del 1995 e successivamente per opera della sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013; da qui la necessità di un intervento manutentivo della disposizione, che ridefinisca i criteri di legittimazione attiva e di interesse ad agire tenendo conto delle diverse forme che assume oggi l'interesse collettivo, a seguito della frammentazione dei rapporti di lavoro e della figura del datore di lavoro. Occorre inoltre pervenire ad una ricomposizione degli altri strumenti che il legislatore in progresso di tempo ha introdotto a protezione di diversi interessi, anch'essi collettivi o individuali plurimi, quali quelli relativi alla tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro, alla repressione delle discriminazioni o alle situazioni giuridiche individuali caratterizzate dalla comune origine e dall'omogeneità dei diritti (c.d. class action). Sono tutte ipotesi che vanno lette all'insegna di una prospettiva che vede nel sindacato il baricentro delle tutele, e che perciò si pongono in rapporto sinergico con l'art. 28. Lo studio, attraverso una ricostruzione storico- evolutiva e un'analisi dei percorsi giurisprudenziali, individua gli elementi sintomatici dell'eterogeneo sistema di tutela offrendo alcuni spunti de iure condendo su particolari profili.