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È noto il fenomeno consistente nell'occupazione, da parte di soggetti pubblici, di aree private in assenza, "a monte", di un titolo idoneo a giustificare tale apprensione, oppure, "a valle", di un valido provvedimento ablativo della proprietà. In tali situazioni ci si chiede se la pubblica amministrazione, a fronte di una pretesa rei vindicatoria del privato avanzata a distanza di molti anni, possa far valere l'usucapione del bene e quindi l'acquisto a titolo originario della proprietà. Così ci si domanda, in primo luogo, se in astratto possa ammettersi nel nostro ordinamento l'applicazione di un istituto che, seppur mosso da esigenze di certezza giuridica e di tutela dell'interesse di colui che opera uno "sfruttamento socialmente utile" del bene, finisce con l'avere un effetto "premiale" di un "fare" illecito tenuto da un soggetto "qualificato", quale quello pubblico.