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Reduce da una ricerca in Amazzonia, al largo di Manaus, che per poco non gli è costata la vita, l'autore ne ricava, con una riconoscenza mista a nostalgia, tre doni: la tenerezza, la natura come madre-Terra da rispettare, il senso del limite. Sappiamo costruire un aviogetto, ma anche piccoli telefoni cellulari multitasking, capaci di molte operazioni, dalla registrazione alla fotografia, e tuttavia non sappiamo più fare una carezza, il rapporto umano si è inaridito, il mondo si va smaterializzando. La foresta pluviale amazzonica è il grande polmone del pianeta, ma governi, pirati e fazenderos la vanno distruggendo, anno dopo anno, per ricavarne terreni da coltivare, spazi per l'allevamento, legname e minerali. Le società tecnicamente progredite hanno perduto il senso classico della misura. La morte, che un tempo incoronava la vita, è degradata a incidente tecnico. Il verso secentesco «Che bel fin fa chi ben amato muore» non ha più senso. È solo una stucchevole, finta autoconsolazione. Insieme con l'Amazzonia, anche l'umanità è in pericolo, forse condannata a vivere in una società irretita, ansiogena, egolatrica e, in fondo, essenzialmente anti-sociale.