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Non so cosa Lucien Israël potrebbe dire oggi dei calchi, dei calcatori o dei ricalcanti di Lacan, insomma del lacanismo nostrano, già molto avanti - anzi ormai all'approdo delle dispute da basso impero bizantino - rispetto al tempo di Israël, sulla via della sistematizzazione, della liofilizzazione e quindi della totale psicologizzazione della scintillante meteora lacaniana. Al momento, so solo quello che Lacan ha detto della canaglieria e che Charles Melman infila con un'elegante nuance velenosa, di sfuggita: «C'è, in Lacan, una definizione della canaglieria, che si distingue dal lacanismo». D'altronde, Lacan stesso, a proposito delle obiezioni alla difficoltà del suo testo, rassicurava ironicamente e profeticamente che, dieci anni dopo la sua morte, sarebbe apparso assolutamente comprensibile, facile, accessibile a tutti profezia puntualmente realizzatasi. Specie oggi, con la trasparenza mediatica, con i blog, con i siti, col chiacchiericcio televisivo, con la traduzione sociologica dei concetti psicanalitici alla portata di tutti mediante editoriali sui giornali dell'establishment progressista sui più svariati temi di attualità, sempre rigorosamente orientati al bene, cioè sia al mercato (il luogo per definizione dei beni, in particolare dei beni psi-) sia all'edificazione del colto e dell'inclita.