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La riscoperta di Aristotele tra XII e XIII secolo, attraverso la mediazione dei commentatori greci ed arabi, pone i maestri delle università medievali di fronte a una serie di tesi difficilmente compatibili con la rivelazione biblica: l'unicità dell'intelletto, l'eternità del mondo, l'impossibilità della resurrezione dei corpi, la negazione dell'immortalità dell'anima. Quando, intorno al 1270, alla facoltà delle arti di Parigi alcuni maestri si fanno portavoce di tesi simili, il dissenso che si scatena tra i teologi porta il vescovo di Parigi a vietarne ufficialmente l'insegnamento. Mentre Bonaventura da Bagnoregio alla facoltà di teologia di Parigi attacca i "cattivi" filosofi e Aristotele stesso, e Tommaso d'Aquino si prepara a scrivere il "De unitate intellectus", per difendere ortodossia cristiana e psicologia aristotelica dalla tesi dell'esistenza di un intelletto unico per tutta la specie umana, Alberto Magno viene raggiunto in Germania dalla richiesta urgente di un suo confratello che lo esorta a confutare quindici tesi ormai dilaganti tra i professori di filosofia di Parigi. Nasce così il "De XV problematibus", un testo breve, ma denso, in cui, nella varietà delle soluzioni sinteticamente proposte, Alberto non dimentica di ribadire un tema cardine della sua riflessione, quello della competenza filosofica.