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Saggia oltre che bella (ci piace pensarlo) la poetessa e dama di corte Sei Shonagon suggerì, intorno al Mille, all'imperatrice Teishi, e forse anche ai migliori dei suoi amanti, che "tutte le cose piccole sono belle". Secoli dopo, nella terra di quella graziosa, a quell'elegante e discreto canone estetico si conformava uno dei più brevi ed essenziali componimenti poetici di tutte le letterature: l'haiku. Incongruente sillogismo, l'haiku rivendica, al contrario dell'originale logico veicolo d'inderogabile necessità, la contingenza nel fondo della vita, l'incontro casuale, l'analogia imprevista. Consegna gli avidi del gratuito alla bellezza dell'attimo, al colore del fremito. L'erede della lussuosa dimora sul Garda, Gaio Valerio Catullo, avrebbe potuto ardere di Lesbia e vituperarla con maggior brevitas, in più scarni e violenti lampeggiamenti della lingua latina, se dell'haiku avesse disposto o l'avesse inventato. Il modesto Orazio, pago del poderetto sabino e del suo vinello, se l'ospite illustre e munifico, Mecenate, non portava Cecubo o Caleno, consente comunque estrapolazioni sorprendenti. Qui ludicamente tentate.