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Ai primordi di un Settecento siciliano ancora vibrante di note barocche, "Il disinganno dei principi" di Pietro Mancuso (1703) riprende la storia moscovita del falso Demetrio, che già aveva ispirato Lope de Vega, per presentare la "volubile scena" delle ambizioni umane, brulicante di maschere ingannevoli e segnata da inattesi capovolgimenti di fortuna. Seguendo l'esempio del melodramma e del teatro spagnolo, anche in Sicilia la tragedia si apre così alle ragioni dello spettacolo e a una pirotecnica mescolanza di codici. Dal patetismo funebre alle tenerezze pastorali, dal graffio della satira agli eccessi del dialetto: tutti gli strumenti scenici e verbali vengono profusi in un estremo, sgargiante resoconto della teatralità barocca, prima che il Settecento regolatore riporti il "genere perfettissimo" all'austera purezza del decoro classico.