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Naufragato su un'isola lontana, un giovane marinaio viene a sapere che il dio del luogo non approva il bene, tanto che gli indigeni lo fanno di nascosto. In una terra sperduta, un intero popolo si sforza di tenere allegro il proprio dio, altrimenti quello si annoia e manda una calamità. Dante, il sommo poeta, muore, e contro ogni aspettativa si ritrova all'inferno; a Singapore un timido assicuratore propone alla propria compagnia di proteggere i clienti dall'esistenza di Dio. Rinaldo De Benedetti non ha mai smesso di indagare il rapporto tra umano e divino, scienza e religione. In questi apologhi, scritti alla fine degli anni Cinquanta, si interroga con divertita e partecipe curiosità sul perché gli uomini si ostinino a rivolgersi a un'entità celeste che sembra non ascoltarli, non aiutarli e forse, sotto sotto, nemmeno esistere. Lo sguardo acuto ma umanissimo dell'autore coglie il filosofo che si perde nelle possibilità del pensiero e il furbo che approfitta delle superstizioni altrui, indovina un dio impotente ("Esisto o non esisto?") e si diletta a ipotizzare un futuro in cui l'informatica potrà semplificare la contabilità delle anime. L'autore, lo vediamo, ha un animo razionale, eppure ha anche la straordinaria capacità di capire quel personaggio che si rivolge a Dio e gli dice: "Io non credo in te, ma se ci sei, dammi un segno".