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Alle soglie del 1666 si diffuse in Polonia la notizia che per gli ebrei la fine dell'Esilio era imminente: un uomo chiamato Shabbatay Tzevi si era rivelato come il Messia, e presto una «nuvola sarebbe apparsa e li avrebbe portati tutti in Terra Santa». I segni non erano mancati: nel decennio precedente i cosacchi dell'atamano ucraino Chmel'nitskij avevano massacrato quasi centomila ebrei, «scorticando vivi gli uomini, sgozzando i bambini, violando le donne per poi squarciarne i ventri e cucirvi dentro gatti vivi». Ma quegli orrori non erano altro se non «le doglie che annunciavano la nascita del Messia». Per accelerare la liberazione - così dicevano gli emissari di Shabbatay Tzevi - bisognava immergersi nell'oscurità del peccato: solo la discesa agli inferi avrebbe consentito l'ascesa delle anime, e la perfetta redenzione. Anche gli abitanti di Goraj, «la città nascosta tra le colline in capo al mondo», si abbandonano dunque all'idolatria e alla licenza, infrangendo ogni legge. Ma la sciagura si abbatte su di loro: dopo aver giaciuto, benché sposata, con il capo dei sabbatiani, Rechele la profetessa viene posseduta da un dybbuk, e finisce per essere ingravidata da Satana, mentre la disperazione stringe in una morsa la città, stremata dalla carestia. Perché a Goraj «vi sia contentezza» bisognerà che le forze demoniache vengano scacciate, e il nome dell'Onnipotente sia di nuovo santificato. «Che meraviglioso, meraviglioso mondo,» ha scritto Henry Miller «un mondo bello e terribile, quello di Isaac Bashevis Singer, benedetto sia il suo nome!».