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I quattro scritti qui raccolti sono la lettera di congedo che Oliver Sacks ha voluto indirizzare ai suoi lettori, dapprima rendendoli partecipi delle proprie sensazioni di fronte alla soglia degli ottant'anni, e più tardi informandoli, con perfetta sobrietà, di essere affetto da un male incurabile. Ma non ci si inganni: sono pagine vibranti di contagiosa vitalità quelle che Sacks ci regala, dove più che mai si respirano freschezza, passione, urgenza espressiva. Come quando, riflettendo sulla vecchiaia, rivela di percepire "non una riduzione ma un ampliamento della vita mentale e della prospettiva"; o quando si ripromette, nel breve tempo che gli resta, di "vivere nel modo più ricco, più intenso e più produttivo possibile"; o quando racconta di aver visitato, fra una terapia e l'altra, il centro di ricerca sui lemuri della Duke University: "... mi piace pensare che, cinquanta milioni di anni fa, uno dei miei antenati fosse una piccola creatura arboricola non troppo dissimile dai lemuri odierni"; o quando, pochi giorni prima della morte, contemplando la sua vita dall'alto "quasi che fosse una sorta di paesaggio", ne rievoca i momenti essenziali: del tutto simile, in questo, a un filosofo da lui molto amato, David Hume, il quale, appreso di avere una malattia mortale, scriveva nella sua breve autobiografia: "È difficile essere più distaccati dalla vita di quanto lo sia io adesso".